Ma le stelle quante sono

"Alice!"
E il sangue mi si gela, fa i grumi.
Mi giro piano piano.
"Giorgio!"
Gli faccio un sorriso di plastica.
Lui mi racconta il suo entusiasmo.
"Sai, all'inizio non ero sicuro che eri tu... Sarà stato il taglio dei capelli... il vestito..."
...
"Sei cambiata."
...
"Anche tu sei cambiato."
"Sì, sono cresciuto."
Hai capelli più corti, più ordinati, il corpo più muscoloso e maturo. Ma i suoi occhi di pece sono ancora lì.
...
Parliamo di tutto e di niente.
E facciamo finta di esserci dimenticati di quel primo bacio in piazza di Trevi, del secondo al Colosseo Quadrato, del terzo,del quarto, del quinto...
Facciamo finta, in realtà i ricordi dormono dentro di noi.
Preferiamo non svegliarli: i ricordi sono come i bambini, bisogna fare piano... quando si svegliano è difficile farli riaddormentare. Shh... meglio far piano.
Poi i suoi sorrisi e la sua domanda.
"Stai con qualcuno adesso?"
Guardo i suoi occhi color pece.
"No!" rispondo e mi vergogno di quella bugia. "Tu?"
"lo no, ho avuto una storia ma è finita da poco."
Già, le sue storie finiscono sempre da poco...
"Però stavamo bene, insieme, eh?" chiede.
E io faccio una smorfia.
"Non mi ricordo neanche perché è finita" ripete.
lo sì, io ce l'ho vivo in mente.
"Sono stato proprio uno stupido a lasciarti andare via."
"Già, sei stato proprio uno stupido..."
La lezione sta per cominciare.
"Adesso devo andare" gli dico.
Mi lascia un bacio all'angolo della bocca.
Scrive il suo numero di telefono su un tovagliolo del bar.
"Se ti va, mi chiami, ci vediamo... Ti dimostrerò che non sono più quel cretino che hai conosciuto."
Lui resta lì, davanti al suo cappuccino.
lo esco dal bar e vado in aula.
Prendo il suo numero e lo faccio in mille pezzetti.
Non mi guardo indietro.
"Non voltarti, non voltarti..." ripeto tra me e me.

Perché vivere è come scalare le montagne: non devi guardarti alle spalle, altrimenti rischi le vertigini.
Devi andare avanti, avanti, avanti... senza rimpiangere quello che ti sei lasciato dietro, perché, se è rimasto dietro, significa che non voleva accompagnarti nel tuo viaggio.
Però ti è servito anche quel pezzo di roccia che non riesci più a vedere, ti ha fatto capire, ti ha dato slancio.
E' servito anche Giorgio ad arrivare in cima, a capire Carlo.

Il telefonino mi squilla nella borsa, rispondo senza esitare.
"Carlo! Com'è andata?"
"28!" e la sua voce saltella al telefono.
Sorrido.
"Allora sono servite le ripetizioni di anatomia che ti ho dato..." scherzo a bassa voce.
"Sono state molto utili, però stasera avrò bisogno di un ripasso... Non mi è
tanto chiaro il cuore..." dice ammiccando.
"Ok, allora stasera te lo rispiego."
Passerà a prendermi alle otto.
Ma non potrò spiegargli nulla, neanche a me il cuore è tanto chiaro oggi.
Perché, per un attimo, il mio cuore si voleva voltare e riabbracciare il passato.
"Ti amo!" gli dico tutto d'un fiato.
E mi aggrappo ancora di più alla roccia e mi do slancio, per non guardarmi indietro, per continuare a scalare.
Voglio arrivare in cima, Carlo.
Sei tu il mio sentiero, la strada da seguire.
"Anch'io," risponde subito e sorride, "ma perchè me lo dici ora?" chiede.

Non lo so, Carlo.

Il mio cuore, ogni tanto si ammala: è la malattia dei ricordi. E solo tu puoi aiutarmi a guarire.
E' una terapia lunga e difficile... Si cura vivendo."

tratto da un libro di Giulia Carcasi (Ma le stelle quante sono), scoperto grazie ad un amico che ringrazio!

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